Il 5 gennaio 2022 è morto il professor Enrico Berti, un amico del Gregorianum fin dai suoi inizi.
La sua testimonianza è, infatti, la prima ad aprire la schiera di testi del volume Don Ivo Sinico. Parole agli universitari, stampato nel 2013, in occasione dei 50 anni di sacerdozio del “fondatore” del Gregorianum.
L’ultimo suo intervento pubblico al Gregorianum risale a mercoledì 29 ottobre 2008: nell’ambito di un ciclo di conferenze sul tema “VITA: tra Logos e Techne – Saperi che dialogano e si interrogano intorno all’uomo” tenne agli studenti una relazione dal titolo “Dal logos greco alla razionalità moderna”. Nel confronto tra la razionalità propria delle scienze moderne con l’orizzonte di riflessione più ampio sull’uomo e sulla natura che caratterizza il pensiero filosofico, gli avevamo chiesto di illustrarci il contributo della cultura greca antica alla tradizione cristiana e al pensiero moderno a proposito della concezione della vita umana. Quella sera, a partire dalla scoperta del logos – della ragione comunicativa – indagata già dagli antichi Greci in tutte le sue forme, riuscì ad affascinare il pubblico con la sua capacità di spaziare in tutti gli aspetti del pensiero umano con quella chiarezza e semplicità che solo chi ha speso una vita a riflettere con rigore e profondità possiede.
Il Gregorianum è ben lieto di annoverare tra i suoi amici uno studioso e un filosofo della caratura di Enrico Berti, maestro di tante generazioni di studenti!
Pubblichiamo di seguito un testo a firma di Vincenzo Milanesi, ex allievo del Gregorianum, anch’egli filosofo, che ringraziamo per queste righe.
Per Enrico Berti
(Valeggio sul Mincio, 3 novembre 1935 – Padova, 5 gennaio 2022)
Con la scomparsa di Enrico Berti non solo l’Università di Padova perde uno dei suoi più autorevoli docenti ma anche la filosofia italiana uno dei suoi esponenti più significativi, una delle sue figure più note anche a livello internazionale.
A Padova Berti si è formato, allievo del suo maestro Marino Gentile, ed a Padova è tornato ad insegnare Storia della filosofia nel 1971, dopo aver vinto giovanissimo la cattedra nel 1965 ed aver insegnato presso l’Università di Perugia. Berti si è imposto presto, dopo il poderoso volume giovanile del 1962 su La filosofia del primo Aristotele, come uno dei più accreditati studiosi del pensiero aristotelico, riconosciuto come tale in Italia ed all’estero, con una bibliografia sterminata di studi di alto livello teoretico oltre che storico-critico; tra questi merita qui ricordare almeno il libro pubblicato nel 1992 presso Laterza su Aristotele nel Novecento che offre una panoramica completa ed affascinante dell’importanza del pensiero aristotelico in molti autori e correnti di pensiero del secolo XX, che sono potuti apparire, ad una superficiale considerazione, poco o nulla debitori nei confronti di Aristotele stesso.
Ma Berti ha saputo, dissodando un così vasto ed impegnativo terreno dal punto di vista filologico e storico, trovare in Aristotele la chiave di volta, per così dire, per avviare una riflessione di indubbio valore teoretico, proprio perché «Aristotele è forse il filosofo che più ampiamente e più sistematicamente ha contribuito ad esplorare i diversi possibili usi della ragione». Inserendosi autorevolmente nel dibattito che si è sviluppato nella cultura filosofica italiana negli anni Ottanta del Novecento, Berti (e penso qui ai due volumi del 1987 Le vie della ragione e dell’’89 Le ragioni di Aristotele da cui traggo la citazione di cui sopra) ha riproposto con persuasiva efficacia il ruolo e la funzione di quella “ragione dialettica” che si rivela in grado di fornire alla filosofia un formidabile strumento concettuale per orientare il pensiero in direzione di un orizzonte che ne giustifica il valore come forma del sapere in grado di offrire una risposta a questioni vitali per l’uomo.
Enrico Berti è stato un autentico “filosofo”, con un suo originale sistema di pensiero, che si è collocato nel solco di quella che è venuta definendosi come “metafisica classica”. Infatti Berti, pur rimanendo fedele all’impostazione data da Marino Gentile, che per primo ha proposto questa concezione della filosofia come “metafisica classica”, ne ha reso più efficace e rigorosa l’argomentazione teoretica. Il pensiero di Berti accentua la lontananza da una concezione della metafisica secondo la tradizione che risale sia ai commentatori antichi che a quelli della Scolastica cristiana (oltre che della neo-scolastica contemporanea), ma anche ad Heidegger, interpretandola più correttamente in senso aristotelico come «ricerca delle cause prime», cioè delle «spiegazioni ultime, quelle che non hanno bisogno di spiegazioni ulteriori, […] della realtà nella sua totalità», quindi del “principio” che dà significato all’intera realtà.
La metafisica si fa, così, «condizione di libertà» per il pensiero umano, non certo in grado di «garantire la fede, ma la libertà di credere» nel messaggio religioso trasmesso per via rivelata all’uomo. Una concezione non dogmatica e stantia della metafisica, ma rinnovata ed aperta al dialogo con le scienze contemporanee, alla ricerca di quel “principio” che deve necessariamente trascendere la realtà, stare – per dir così – “fuori di essa”, ma che proprio per questo può dare un senso alla totalità dell’esperienza umana nel mondo ed alla vita dell’uomo su questa terra.
Una metafisica che si serve di un’argomentazione, quella appunto “dialettica”, che è radicalmente diversa da una forma di razionalità quale quella che si impone con la modernità nella filosofia europea, basata sul metodo sperimentale guidato da una logica di tipo ipotetico-deduttivo. A queste tematiche Berti ha dedicato l’importante volume del 1977 Ragione scientifica e ragione filosofica nel pensiero moderno. Ma sull’importanza delle scienze e sui risultati del lavoro degli scienziati Berti si è soffermato anche nei suoi più recenti saggi teoretici, riconoscendo la centralità nella cultura contemporanea senza sminuirne affatto il ruolo, ma rivendicando nel contempo la necessità di un’altra forma della razionalità, quella appunto sulla quale si struttura la metafisica, per non amputare arbitrariamente le potenzialità del pensiero umano.
Enrico Berti ha avuto una nutrita schiera di allievi, che ne hanno continuato gli studi in ambito aristotelico, raccogliendone l’eredità non solo in università italiane ma anche a livello internazionale. Ed ha formato generazioni di studenti, che con lui si sono laureati ed hanno appreso non solo “che cos’è la filosofia”, ma anche ad amarla.
Numerose le lauree honoris causa ricevute da università straniere, numerose le cariche ricoperte, e tra le tante, anche a livello internazionale, ricordiamo solo quella di Presidente della Società filosofica italiana, che ha ricoperto, cosa del tutto inusuale, per due volte. È stato socio di numerose accademie, come ad esempio dell’Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti e della Accademia dei Lincei, e della Pontificia Accademia delle Scienze. È stato nominato Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana.
È stato anche un intellettuale costantemente (e coraggiosamente, negli “anni di piombo” a Padova) impegnato sul piano politico e civile, fino a diventare un punto di riferimento per la cultura di ispirazione cattolico-democratica degli ultimi decenni del Novecento, apprezzato e stimato anche dal fronte “laico”.
Di Enrico Berti colpiva la sua signorilità, il suo garbo nei rapporti con tutti, la sua gentilezza nei modi, e la sua generosità. Chiunque lo ha conosciuto ne ha apprezzato, ed ammirato, la grandezza d’animo: virtù tanto rara e preziosa, quanto nobile e alta, la virtù di un uomo giusto.
Vincenzo Milanesi – Studente al Collegio Universitario Gregorianum dal 1968 al 1972 – Professore Ordinario di Filosofia presso l’Università di Padova dal 1984 – Magnifico Rettore dell’Università di Padova dal 2002 al 2009 – Direttore del Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata (FISPPA) dal 2012.