Riccardo Fabbri, dopo essersi laureato con 110 e lode in Filosofia il 20 ottobre 2021, ci racconta la sua esperienza nel contesto del collegio Gregorianum e dell’Università
Per quali motivi hai scelto questo percorso? C’è stato un evento, un episodio, un oggetto o una persona particolare che ti ha appassionato alla filosofia e che ti ha spinto ad intraprendere tale laurea?
Sono convinto che scegliere una facoltà come quella di filosofia sia una vera e propria scommessa. Non potendo contare su enormi possibilità lavorative nell’immediato futuro bisogna puntare tutto sulla passione per la disciplina. Ricordo che sin da bambino ho sempre avuto una naturale inclinazione per le questioni toccate dalla filosofia e dalla religione e mi sono sempre interrogato sul perché di questi concetti. Il terzo anno di superiori ho avuto la mia conferma. Grazie alla mia professoressa di filosofia ho iniziato ad approcciarmi ad una disciplina fino a quel momento sconosciuta, o comunque molto oscura, ma solo nei due anni successivi ho maturato l’idea di fare della filosofia la mia vita, o almeno il mio futuro accademico. Ciò che più mi ha colpito del corso triennale è stato il capovolgimento continuo delle prospettive filosofiche, non solo a livello prettamente storico, con il classico elenco di filosofi e teorie che vengono propinati alle superiori, ma anche a livello metodologico. La scelta della magistrale in filosofia è venuta da sé. Volevo continuare a coltivare quella passione che mi riempiva le giornate e le serate con lo studio, volevo continuare a capire con un metodo sempre nuovo e pronto a rinnovarsi le categorie che reggono e producono il pensiero della vita di tutti i giorni. Per sintetizzare, posso concludere dicendo che ho compreso che lo statuto della filosofia non può essere limitato all’area umanistica, ma può, e deve, parlare come voce esterna su, e per, tutte le discipline, da quelle scientifiche a quelle politiche.
Guardando indietro in questo tuo percorso, sapresti trovare dei momenti positivi, delle conquiste, o delle soddisfazioni a cui tieni maggiormente?
I cinque anni passati a studiare filosofia non mi hanno solo permesso di allargare la mia conoscenza concettuale ed il mio metodo di approccio allo studio, ma mi hanno anche dotato di uno spirito più proattivo, quasi autonomo, con il quale mi sono poi approcciato alle situazioni e alle letture di tutti i giorni. Ammetto la difficoltà nell’elencare istanti precisi di conquiste o soddisfazioni, in quanto un percorso lungo cinque anni ha portato differenti momenti di maturazione e di crescita personale. Banalmente potrei portare l’esempio delle due feste di Laurea, una per la triennale e una per la magistrale, che mi hanno mostrato come tanto fosse cambiato rispetto al primo giorno di università, di come la mia preparazione, il mio spirito, il mio entusiasmo abbiano avuto vere e proprie rivoluzioni, talvolta positive, talvolta negative. Comunque, se proprio vogliamo trovare un momento particolare, possiamo parlare dell’esame di Filosofia Politica dato al primo semestre in magistrale (circa un mese prima della pandemia). Ricordo un esame che lentamente si trasforma in un dialogo tra me e il Professore, dialogo che continua fin fuori dalla porta e che inizia ad esulare dagli argomenti del corso. È stata la prima discussione seria di filosofia fatta con un professore. Lì ho capito di aver fatto la scelta giusta.
Ricordi invece delle difficoltà? Come sei riuscito ad affrontarle e a superarle?
Il momento più difficile è stato sicuramente il periodo del Lockdown del 2020. Costretto a rimanere a casa, quasi solo, con una serie di problemi di salute, incapace di leggere, senza un contatto vero con i miei compagni di collegio e di corso, e intimorito dalla pressante situazione esterna. Tutto è iniziato con un coercitivo allontanamento da me stesso, sfociato poi sempre di più in un allontanamento dalla disciplina in sé, sentita sempre meno presente e, forse, meno utile davanti a un problema invasivo come quello del Covid. Dopo la fase iniziale della prima quarantena ho rallentato il ritmo con lo studio e sono anche finito in ospedale per un problema all’occhio. Da lì l’inizio della seconda quarantena con il conseguente abbandono, da parte di molti miei compagni, del Gregorianum. Ammetto che solo con le nuove amicizie fatte l’anno successivo, in tesi, al Gregorianum mi hanno permesso di riallacciare ii rapporti con quella che possiamo definire un’umanità che nei mesi avevo perso fuggendo in una dimensione sempre più fittizia e scollegata.
In che modo hai conosciuto il Collegio? Come il Collegio Gregorianum ti ha aiutato nel tuo percorso di studi? Guardando indietro, quale ritieni essere il maggiore contributo che esso ti ha dato?
Per me non c’è una vera e propria differenza tra vita universitaria e vita in collegio, in quanto ho iniziato e completato l’intero percorso accademico appoggiandomi al Gregorianum. Sono stati i miei genitori a trovarlo e ad iscrivermi. Nonostante il loro gesto di premura da me trovarono solo opposizione. Ricordo mi dissero: “il primo anno lo fai lì, poi, se non ti piace cerchi un appartamento per l’anno prossimo”, non credo di poter riportare la mia risposta di allora senza dover scadere in volgarità. So solo che dopo i primi due mesi necessari per ambientarmi sia in università, sia nella città, sia in collegio ho deciso che avrei passato i miei anni in quel posto. Non è sempre stato facile, perché ci sono stati momenti molto negativi, soprattutto legati all’intero iter di ristrutturazione capitato in concomitanza con il secondo Lockdown, ma siamo riusciti, come comunità studentesca a superare anche questi momenti, uscendone, tra l’altro, rinnovati in positivo. Ciò che più di tutto il collegio mi ha insegnato è il rispetto per le altre persone e, soprattutto, il concetto di responsabilità, il rendersi disponibile per fare cose anche complicate o sgradevoli, ma necessarie al benessere del collegio.
Ora sei tutor di Scienze umane per le nuove matricole : com’è come esperienza? Pensi che essere tutor possa in qualche modo approfondire o ampliare le tue conoscenze?
Da settembre 2021 svolgo il mio incarico di Tutor di Scienze umane. Ruolo sicuramente importante per comprendere come alcuni dei tuoi consigli, o chiarimenti, possano condizionare la vita accademica di un giovane studente. Anche questo è responsabilità. Vero è, bisogna dirlo, che gli umanisti sono molto più eterogenei rispetto a chi affronta materie scientifiche, soprattutto al primo anno (in cui c’è più bisogno di una guida), e questo porta con sé la difficoltà di dare consigli laddove ciascuno ha professori e materie completamente differenti.
In che modo la pandemia ha influenzato la tua laurea? Ti ha precluso qualcosa?
La pandemia, come dico anche nei punti precedenti, mi ha portato ad uno scollamento sempre più marcato dalla realtà accademica, in primis, e filosofica. L’incertezza si è impadronita di me e questo, oltre ad avermi rallentato, mi ha anche impedito di continuare il mio percorso di studi. La precedente volontà di continuare con un dottorato per rimanere in ambito accademico ha lasciato spazio ad un mio totale rifiuto al voler continuare a studiare. Per mesi non sono riuscito ad avvicinarmi ad un libro, anche se questo era di narrativa.
Immagina di poter parlare con il “te” del liceo. Consiglieresti ancora di intraprendere questo percorso di studi?
Domanda complessa che richiederebbe una risposta ancor più complessa. Risposta semplice: Sì, ma magari a febbraio 2020 rimani a Padova e cerca di far valere di più quello che hai studiato.
Che consiglio daresti a uno studente che vorrebbe iscriversi alla tua stessa facoltà?
Un consiglio che daresti a tutti i ragazzi che si avvicinano al mondo dell’università o che già ne fanno parte. Vivetevi tutti gli aspetti della vita universitaria. Prendete con serietà lo studio e i vari incarichi di responsabilità all’interno del collegio, ma non lasciatevi alienare e irretire dallo studio (come ho fatto io).