nel settimo anniversario della sua morte, durante la messa comunitaria, ricorderemo don Ivo Sinico, cofondatore del Gregorianum e Assistente Spirituale dal 1963 al 2005
mercoledì 30 novembre 2022 alle ore 19.00
La celebrazione, nella cappella del Gregorianum, sarà presieduta da don Francesco Massagrande, Direttore Generale del Collegio universitario Don Nicola Mazza di Padova.
La scelta del celebrante non è stata casuale ma testimonia un legame profondo tra le due istituzioni. Così ricorda infatti don Ivo in occasione della commemorazione di don Giuseppe Tosi, a 25 anni dalla scomparsa, il 21 ottobre 2000 l’inizio della sua esperienza di studente mazziano.
Alla fine di ottobre del 1950 dunque, il Vescovo chiamò il sottoscritto, sacerdote da qualche mese, e – mutato un precedente
mandato presso l’Università Cattolica di Milano dove avrei dovuto studiare Matematica – mi assegnò al Collegio Mazza di via Umberto I per conseguire la laurea in Lettere all’Atenero Patavino. Il Vescovo mi chiese: “Lei conosce il Collegio Mazza?” “No!” Risposi. “Allora vada e si metta a disposizione di don
Tosi, è un sacerdote veronese che sta realizzando in Padova un collegio per studenti universitari poveri”. E oggi aggiunse: “è opportuno aiutare chi sostiene giovani capaci e poveri, che non potrebbero altrimenti laurearsi! Una iniziativa così a Padova ci voleva… E vedrà che con i giovani universitari imparerà molte cose!”
Mi presentai dunque al Mazza il primo novembre del 1950. Nel collegio semi-vuoto incontrai don Tosi, alquanto impaziente perché era in partenza. Mi salutò in fretta, e mi affidò ad alcuni amabili “Lanzichenecchi” che, pur aiutandomi a portare la valigia, mi condussero per scale, corridoi e meandri
del vetusto palazzo, fino alla stanzetta che – per breviorem – sarebbe stata raggiunta velocemente.
E’ quindi perfettamente corretto considerare gli amici mazziani dei “fratelli maggiori”!
Riportiamo qui integralmente il contributo che il Mazziano avv. Carlo Fornalè scrisse per il volume don Ivo Sinico – Parole Agli universitari (2013) per descrivere l’esperienza mazziana di don Ivo.
L’esperienza mazziana di don Ivo
Per noi Mazziani don Ivo è inciso nel nostro intimo. E’ lui il giovane prete che tanto bene ha saputo diffondere intorno a sé. Il monsignorato è stato un riconoscimento, ma Lui ha continuato ad essere e ad operare come “don Ivo” anche per la sua vera e realistica umiltà.
1948. La guerra disastrosa, disumana e disumanizzante è appena finita. Ancora vivi sono il dolore e la sofferenza, ma nel silenzio delle armi si fa strada e cresce la speranza. Si comincia a sognare, a progettare all’ombra della pace tanto desiderata e costata tanta sofferenza.
Anche l’istituto “Don Nicola Mazza” di Verona coltivava la sua speranza: aprire, come aveva fatto il fondatore più di un secolo prima, un collegio universitario a Padova per completare il programma ideato da quel santo e colto sacerdote che voleva portare i poveri, dotati di intelligenza, ai massimi livelli nella cultura. Era arrivato in istituto un mazziano, ordinato sacerdote nel 1945, mandato dal vescovo, il quale non lo riteneva idoneo, a causa della sua salute un po’ fragile, per l’attività pastorale. Un po’ una pietra, se non scartata, non certo franca. Era don Giuseppe Tosi.
A lui viene affidato dai superiori il compito di dedicarsi agli studenti universitari e si comincia a parlare del tema tanto caro: aprire un collegio universitario “Don Mazza” in Padova.
Don Tosi si entusiasma e si dedica instancabilmente al nuovo incarico. Da un lato cerca di censire gli universitari mazziani e dall’altro intraprende la tessitura di una rete ampia che comprende ex allievi già professionalmente impegnati, politici ed autorità ecclesiastiche per proporre il progetto di un ritorno a Padova del “Don Mazza”. Si fa forte anche della costituzione che prevede il diritto ai più alti gradi della cultura anche per i non abbienti.
Già nell’ottobre 1948, in un palazzo che è dato in comodato da alcuni ex allievi, inizia a funzionare il nuovo collegio con un centinaio di studenti. Fu un piccolo evento che aveva fatto parlare di sé in città.
La piattaforma aveva più di un secolo di storia onorata, ma era costituita da pochi sacerdoti e senza dotazione di beni che non fossero le sedi storiche dell’Opera di Verona. Basti dire che a tutto il tema “universitari” doveva provvedere il giovane sacerdote, anche ad assolvere le non facili mansioni di direttore, di addetto all’amministrazione ed ai compiti economali. Qualche perplessa preoccupazione era comprensibile ed anche utile per il contenimento degli entusiasmi.
All’inizio degli anni ’50 viene designato a vescovo di Padova mons. Girolamo Bortignon il quale prese in considerazione la nuova realtà.
La memoria, per vero, pur un po’ affaticata, ricorda che un giorno dell’autunno 1952 ci trovammo presente in collegio un giovane sacerdote, prima mai visto, che non apparteneva al mondo mazziano veronese. Fu una sorpresa. Era don Ivo Sinico, recentemente ordinato sacerdote, che assumeva la funzione di vice-direttore.
Tra gli studenti più anziani, c’era chi aveva fatto l’esperienza della guerra, chi era stato rinchiuso nel campo di concentramento ed altri che si erano dati alla macchia in varie forme. Persone con un vissuto intenso che si intrattenevano su varie ipotesi e valutazioni sulla scelta del vescovo.
Don Ivo, alto nella statura, sereno e cordiale nel viso, stette un po’ in osservazione di questo gruppo di giovani i quali, in certi momenti, davano l’impressione quasi di una eccessiva veronesità. Dovette notare un rapporto molto familiare tra studenti e direttore, tanto da sfumare in posizioni un po’ troppo fraternamente “libertarie” (così la definiva don Tosi). Certamente, per il sacerdote padovano, appena uscito dall’ambiente di seminario, allora caratterizzato dal principio, tra gli altri, di obbedienza “pronta, cieca e muta” l’essere immesso in quel contesto universitario deve essergli costato non poco. Si inserì gradualmente con tanta serena umiltà come uno che non pretendeva di aver niente da insegnare, ma che viveva nella comunità per condividerne tutte le componenti come uomo consacrato e portatore di un messaggio.
Perché quel che presto si comprese del sacerdote don Ivo, fu la sua profonda, asciutta e salda religiosità che caratterizzava prima di tutto il suo personale impegno e poi finiva col porre domande agli studenti. E ciò con la testimonianza più che con le parole. Quando occorrevano c’erano anche queste, ma poche, incisive e fraterne.
Il suo comportamento, i suoi interventi nelle discussioni o quando veniva chiamato in causa dimostravano la dotazione di una forte intelligenza e solida cultura. Una caratteristica sottolineata in lui era la bontà e la generosità anche nei momenti critici per i singoli o per il gruppo. La circostanza in cui verrebbe fatto naturale di far ricorso all’autorità. Egli preferiva affidarsi all’autorevolezza che si fonda sulla testimonianza dei valori. Sempre vicino a noi, egli seppe però far emergere con squisitezza la sua alterità per la sacralità di cui era investito e per la stessa corretta funzionalità istituziona- le. Cercò sempre il rapporto personale portato avanti in forme semplici e naturali, senza alcuna forzatura.
Don Ivo viveva responsabilmente la vita del collegio. La sua presenza fu assai significativa ed importante, tanto più che il direttore, il pretino deboluccio più sopra ricordato, era impe- gnatissimo per sostenere tutte le funzioni necessarie per il funzionamento della numerosa comunità e per il progetto del collegio universitario.
Chi scrive trovò in don Ivo un forte punto di appoggio. Non era colpa di nessuno se mancava l’esperienza specifica in merito all’impostazione di una comunità universitaria, e così non rimase cha applicare degli adeguamenti al tipo di collegio tradizionale, con un tasso di tolleranza inevitabilmente variabile, causa di conseguenze prevedibili. Con un po’ di anarchismo buono ereditato dal nonno materno, il quale aveva aderito al movimento nelle sue migrazioni stagionali nella confinante Svizzera a cavallo del XIX e XX secolo, lo scrivente avvertiva nell’ambiente l’insufficienza della fiducia vera nella libertà, sembrandogli che le regole rappresentas- sero un surrogato formale di un sostanzioso contenuto che non si realizzava. Da qui le difficoltà a convergere sulle posizioni del direttore e magari ciò accadeva su punti che lo stesso riteneva importanti.
Sia consentito ricordare. Il collegio aveva anche, nell’anticamera del direttore, una sala di lettura ove trovavamo i giornali consentiti. Scendendo a metà mattina dalla stanza per la lettura dei giornali, con sorpresa di tutti, non c’era alcun giornale. Si pensò ad un provvedimento della direzione e ci inquietammo. Più degli altri chi scrive che, avendo il porta- monete in tasca, diede ad un compagno quanto necessario per acquistare alcuni giornali non usuali. A pranzo, il direttore, con viso piuttosto torvo, invitava il responsabile dell’ingresso dei quotidiani esclusi a presentarsi. E per chi scrive la sanzione fu: sospensione per due giorni. Sorpresi i compagni di tavolo, alcuni anche partecipi al delittuoso evento, andarono a dichiarare la loro responsabilità, ma il direttore ritenne sufficienti i due giorni di sospensioni inflitti a Fornalè. La permanente solidarietà tra studenti nel giro di qualche minuto aveva già messo a disposizione un posto letto e un fornitore di pranzo e cena. A pranzo non ancora finito arrivò don Ivo sorridente comunicando che la sanzione era stata revocata. E schizzò via per non apparire coinvolto in considerazioni pertinenti, ma non proprio ossequienti.
Un altro episodio coincide con gli esercizi pasquali a Villa Immacolata ai piedi di Monte Rua. L’arrivo fu in discreto anticipo rispetto all’inizio della funzione, che sarebbe stata aperta dal vescovo mons. Bortignon, e in 4-5 decidemmo di far visita al monastero di Monte Rua. Era Aprile, il sole rendeva la giornata piuttosto calda rispetto alla stagione per cui apparve provvidenziale l’apparire di un modesto bar-trattoria: un bianco dei colli ci stava bene. Non fu buona scelta per- ché solleticò l’appetito e allora i bravi amici pensarono di sedersi all’esterno con pane e salame e si finì con un eccesso di “bianchi”. Ad un certo momento qualcuno si ricordò del ritiro che forse poteva essere già iniziato e allora, non scarsi di allegria scendemmo al basso e nel cortile della casa degli esercizi troviamo don Ivo che ci aspettava e ci dirottava nelle stanze per evitare di disturbare l’incontro religioso tenuto dal vescovo. Tutto andò liscio salvo il resto del fiasco di bianco che un compagno, tormentato dalla sete, consumò nella not- tata, lasciando noi all’asciutto. Tutto si risolse senza parole perché era ben espressiva la serietà del viso del nostro.
Per don Ivo era sempre tempo di avvento: appianare le vie della comunità riducendo i dossi e colmando le vallette, opera che svolgeva con grande umanità, con molto tatto e con intelligenza. Lui c’era sempre nei momenti che erano o che potevano diventare delicati e trovava sempre, con serenità, una soluzione. Intrattenersi con lui singolarmente era veramente interessante perché era dotato di una notevole capacità di analisi e non si sottraeva ad approfondimenti specialmente sugli argomenti religiosi, storici ed anche teologici e morali. Non coltivava la passione per la politica. Questo rapporto personale, molto praticato da chi scrive, fece nascere e crescere un rapporto profondo di stima che aumentò e si consolidò nel tempo. Il tutto si sostanziava nella formazione della persona sotto il profilo cristiano e civico.
Dopo alcuni anni di presenza al “Don Mazza”, anche nella nuova sede di via dei Savonarola (1954), il nostro sacerdote fu chiamato dal vescovo che lo incaricò di dare avvio ad una nuova iniziativa e cioè il collegio universitario diocesano al quale fu dato il nome di “Gregorianum”. Si dedicò all’incarico affidatogli profondendo tutte le sue energie e le sue attenzioni; intrattenne rapporti con i docenti universitari per avere la loro collaborazione fin dalla costruzione dell’edificio e poi nella gestione del collegio che si distinse per alcune caratteristiche singolari. L’incarico di direttore del collegio fu affidato a Carlo Maria Gregolin, un laico, professore universitario. Era previsto che adesso fosse affiancato un sacerdote come presenza religiosa ed educativa, operativa nella residenza.
Trovò una collaborazione più che valida nel prof. Luciano Merigliano, a lungo Magnifico Rettore, il quale, come vice-presidente del collegio, mise generosamente a disposizione le sue capacità, il suo prestigio e la sua ricca esperienza.
Don Ivo viveva per il collegio e per gli studenti. Aveva colto il buono, quando c’era, nel nuovo, e certamente con gravoso impegno, come lui sapeva fare, riuscì ad innestare nell’istituzione la componente studentesca corresponsabilizzandola.
Radicata era in lui la convinzione che il sacerdote ha anche il compito di concorrere alla formazione delle persone, nel caso specifico degli studenti, andando ben oltre alla semplice e disimpegnata proposta. Essi sono i protagonisti del futuro, spe- cie in un Paese che brilla per il favor senectutis.
Questi sono solo pochi cenni di riconoscente, amichevole ricordo, altri dirò più approfonditamente della storia e del “Tuo” Gregorianum. La ricorrenza cinquantenaria si condensa in una vita e il collegio Gregorianum si muove agevolmen- te verso il futuro. I mazziani degli anni ’50 sono con tutti voi in gioiosa festa con tanta ammirazione e stima per tanta Opera.
Qui la locandina dell’evento.