Conversazione con Lorenza Carlassare in ricordo di Roberto Ruffilli a trent’anni dal suo assassinio.
giovedì 19 aprile 2018 – ore 20:45
Il 2018 è un anno di importanti ricorrenze: 50 anni dalla contestazione giovanile del ’68, 40 anni dall’apice del terrorismo in Italia, l’omicidio di Aldo Moro e 30 anni da quello di Roberto Ruffilli avvenuto il 16 aprile 1988 nel suo appartamento (corso Diaz, al numero civico 116, nel centro di Forlì): due terroristi delle Brigate Rosse si spacciarono per postini e dopo averlo fatto inginocchiare nel soggiorno, davanti al divano, lo uccisero con tre colpi di pistola alla nuca.
Il legame tra i due uomini non è solo caratterizzato dalla tragica fine, ma riflette una consonanza di pensiero e di umanità ed è infatti richiamato anche nella lapide posta a Forlì all’ingresso di quella che fu la sua abitazione ed ora è diventata la sede della fondazione a lui intitolata: «Vent’anni fa le Brigate rosse, partito comunista combattente, a dieci anni di distanza dal sacrificio di Aldo Moro uccisero un altro cattolico democratico, Roberto Ruffilli, ma non il suo pensiero politico e costituzionale. Il cittadino come arbitro resta patrimonio di tutti i sinceri democratici. La sua alta lezione di impegno culturale e civile sia esempio e monito per le giovani generazioni».
Gianfranco Pasquino, suo collega a Bologna e spesso suo interlocutore sui temi delle riforme istituzionali, anche se da opposte appartenenze, lo ricorda come una persona forte nelle sue convinzioni ma incline al ragionamento e alla persuasione come modalità di elaborare qualsiasi proposta.
«Più che democristiano – fra l’altro non fu mai iscritto al partito – Ruffilli era un moroteo, paziente e disposto a pagare il prezzo di tempi lunghi per approvare riforme buone, largamente, non unanimemente, condivise. Non “prestato alla politica” dall’Università, alla quale sarebbe sicuramente tornato alla fine del suo secondo mandato, ma disposto a rendere quel servizio che soltanto persone come lui, colte in materia storica e istituzionale, potevano svolgere».
Per presentare ai più giovani la figura di questo accademico e politico italiano forse le parole più efficaci sono quelle del comunicato che le BR fecero trovare il 21 aprile 1988 in un bar di via Torre Argentina, a Roma:
«Sabato 16 aprile un nucleo armato della nostra organizzazione ha giustiziato Roberto Ruffilli, […] uno dei migliori quadri politici della DC, l’uomo chiave del rinnovamento, vero e proprio cervello politico del progetto demitiano, teso ad aprire una nuova fase costituente, perno centrale del progetto di riformulazione delle regole del gioco, all’interno della complessiva rifunzionalizzazione dei poteri e degli apparati dello Stato. Ruffilli era altresì l’uomo di punta che ha guidato in questi ultimi anni la strategia democristiana sapendo concretamente ricucire, attraverso forzature e mediazioni, tutto l’arco delle forze politiche intorno a questo progetto, comprese le opposizioni istituzionali. Firmato: Brigate Rosse per la costituzione del Partito Comunista Combattente».
Pier Alberto Capotosti, già presidente della Corte Costituzionale e coautore con Ruffilli del volume che dà il titolo alla conversazione di questa sera, in occasione della commemorazione avvenuta nel 25-esimo anniversario della sua scomparsa nell’Aula Magna dell’Università di Bologna, ebbe a rilevare come sarebbe ancor oggi utile il progetto di ingegneria istituzionale al quale Ruffilli era impegnato: valorizzare l’equilibrio tra un parlamento eletto con il metodo proporzionale e un governo di coalizione formulato in base ad un sistema maggioritario, in maniera da conciliare rappresentanza e governabilità, mediazione e decisione, potere legislativo ed esecutivo. Questa era la via che, cogliendo tutte le potenzialità della nostra carta costituzionale, aveva individuato per fare dei cittadini i veri arbitri del funzionamento della nostra democrazia. Consentire agli elettori di scegliere direttamente la maggioranza di governo, o di cambiarla, avrebbe infatti permesso di allargare la base di partecipazione democratica abbandonando la prassi del consociativismo per approdare ad una democrazia dell’alternanza tipica delle democrazie mature. Di contro, non riteneva funzionale a questo scopo l’introduzione dell’elezione diretta del capo dello stato o del premier, in quanto si sarebbe sostituita la delega in bianco ai partiti con una delega ad un singolo uomo.
Dopo il fallimento di tutti i tentativi di riforma delle istituzioni repubblicane che si sono succeduti da allora, da ultima la bocciatura del referendum istituzionale dello scorso anno, rimane tuttora irrisolto il problema di recuperare il rapporto tra cittadino e potere – superando la mediazione dei partiti – per restituire in qualche maniera lo scettro al “principe” (il popolo) .
In questo dibattito si è inserito in maniera prepotente un fatto del tutto nuovo e inimmaginabile ai tempi in cui Ruffilli andava definendo la sua riflessione e cioè la capillare diffusione dei “social media” e la loro influenza pervasiva nel diffondere e condizionare le opinioni dei cittadini.
Rappresentanza contro governabilità: democrazia indiretta, diretta o partecipativa di quale rinnovamento istituzionale ha bisogno la Repubblica Italiana per rispondere alle sfide del modo globalizzato?
Diquesto discuteremo con la relatrice, Lorenza Carlassare, Professore Emerito di Diritto Costituzionale presso l’Università di Padova, anche alla luce della prima sperimentazione della legge elettorale recentemente modificata dal Parlamento per correggere i problemi di costituzionalità rilevati dalla Corte nel premio di maggioranza previsto nella precedente normativa (il cosiddetto “porcellum”).
La locandina dell’incontro è scaricabile qui.